Napoli 8 Ottobre 1801

Caro Vytis
Torno a scrivervi dal mio studiolo in Napoli, in compagnia di mio fratello Cesare, dopo una serie di vicissitudini che non esiterò a narrarvi.
Nelle ultime missive vi descrivevo la vita agreste condotta nelle campagne romane, non molto dissimili da quelle che circondano i resti dell'antica Pesto,luogo in cui ci incontrammo durante il vostro viaggio alla scoperta d'Italia.
Il buon Tagliamano ora riposa nelle celle dei Francescani di Don Marino e io, stanco di veder avanzar l'autunno, mi mossi nuovamente verso i palazzi romani.
Il subbuglio politico creato dalla nuova organizzazione francese ha fatto eleggere Papa Chiaramonti a Venezia, inducendo, di fatto, una libertà mai vista prima; pensate caro Vytis che è stato concesso persino agli ebrei di muoversi liberamente per la città senza l'obbligo di dimorar nel ghetto capitolino. Chissà cos'altro ci capiterà di vedere... magari anche donne che, al posto di accudire il focolare domestico, pensino d'interdersi anche di politica per suggerir rappresentanti? 
I regni sono in bilico e politici che sottendono son quasi più fragili di loro. Pare che il Camerlegno Braschi-Onesti sia in forte attrito a causa delle fatiche da compiere per assestar le finanze del Papato.
In questi periodi così bui gente senza scrupoli si avvicenda e chiede udienza ai potenti ottendo di poter tramar senza ostacoli.
Così posso vedere la libertà di cui gode Don Mariano Valli e della sua S.I.A.E.
Torniamo a Noi.. Vi chiederete quali accadimenti mi riportarono nelle terre del Reame: eccovi  tosto servito.
Lasciai le tenute georgiche del Marchese Valentino e mi posi in viaggio verso Roma per stimare il pericolo presentato dal Cardinale nei miei confronti. Al mio fianco potevo contare su mio fratello Cesare, sul Marchese Valentino e su, siate serio per carità, Caterina de Perro, che annoiata dalla vita di campagna, ci ritrovammo il mattino della partenza.
Una volta stabilitici nelle dimore cittadine del Marchese iniziammo una paziente operazione di osservazione sia del palazzo del Camerlengo che di quella dei suoi tali amici; quali ricorderete senza dubbio, Von Treffen e la teutonica Marzela.
Che ci fosse del torbido non v'era dubbio caro amico e pian piano scoprimmo che, nottetempo un paio di volte la settimana, un gruppo sostanzioso di adepti si ritrovava per ascoltare le parole deliranti di Don Valli presso il Camerlengo.
Grazie alla nostra carissima Caterina, offertasi di cantar nel coro, avemmo libero accesso alla sala e assistemmo alle lezioni impartite, confermando i nostri sospetti. Il Don Valli elargiva senza sosta una sequela di invettive nei confronti di chi, mosso da rinnovata speranza decida di modificare l'ordine del mondo, e così via dicendo. Non si trattava di messe, assomigliavano più a catechismi ottenebrati da manie di grandezza.
Una di quelle sere decidemmo di far visita a Don Mariano Valli al termine delle sue omelie con l'obiettivo di far cessare l'ombra temibile del De Biberia sulla famiglia Ranieri.
Grazie ad un'accesso lasciato aperto dalla De Perro, io, mio fratello, il Marchese e un ospite a sorpresa ci intrufolammo in una sala adibita a sacrestia e l'attendemmo acquattati.
Appena entrò Don Valli ci movemmo come un sol'uomo: Il Marchese chiuse la porta alle sue spalle, mentre mio fratello bloccò con una fune il parroco. 
"il Vostro Papa conosce quali azioni orribili tramate nell'ombra? Conosce i segreti che dispensate tra favole greche?" dissi  "Sapete che grazie ai vostri discorsi grondanti d'odio persone innocenti perdono la vita?"
Don Valli non sembrò scosso da quelle parole: "Il vostro miserabile tentativo di ostacolare il mio compito su questa terra è destinato a fallire!". Pareva sicurò di sè l'invasato, finche trasalì sentendo un mugolìo familiare sotto il cappuccio del nostro ospite a sorpresa."Was machst du meine Liebe?"
Le osservazioni dei nostri appostamenti ottennero i risultati sperati, infatti il palazzo del Camerlengo non era utilizzato solo per le riprovevoli omelie di Don Valli, ma anche per incontri, diciamo ben più laici, tra il Valli e la Anghelson. 
Gli equilibiri modificarono ben presto al suono di quelle parole e così il pretaccio intimorito per l'altrui sorte (ancora non so se dovuti alla ragion di stato o quella di cuore) ci implorò un momento di trattativa in cui ottenemmo facilmente un permesso scritto in cui si dichiarava che il Cardinale De Biberia aveva agito mosso da avidità personale invece che sotto i dettami della Chiesa.
Grazie alle erbe della verità della Contessa Comodina la Anghelson, appena venne liberata dai suoi lacciuli, si profuse in una serie di smancerie pronunciate in una lingua incomprensibile, frutto delle commistioni di italiano, latino e tedesco. La donna libera ed entusiasta aveva occhi solo per il suo amato e lo strinse in un abbraccio più forte di qualsiasi fune.
In quel mentre prendemmo la porta e uscimmo, quatti quatti, per evitar brutti incontri e ci dirigemmo verso la vettura in cui ci attendeva la de Perro. 
Cavalcammo a perdifiato e il giorno dopo ci accodammo alla carovana comandata da Cesare per ritornar nel Reame.
Ora solo mi rendo conto di quanto ho scritto amico mio, Spero di non avervi tediato. Più che mai son convinto che sia il caso di circondarmi di uomini fidati che eccellono nelle loro arti per affrontare i temibili tempi che giungeranno.