Bagnolo, 10 agosto 1801

Caro Ausonio,
le mie parole vi giungano consolatorie quanto lo possono essere, poiché credo che la matassa che voi state cercando di sbrogliare sia decisamente aggrovigliata!
Quando il nostro scambio di missive ebbe inizio, tutto mi sarei aspettato al di fuori di quest'orrida ammucchiata di intrighi. Del resto, che i porporati che si celano tra le colonne del Bernini fossero assai pericolosi era cosa nota... Ma a tal punto, non l'avrei creduto veritiero, se non foste voi la fonte di cotanta notizia.
Sono al contrario ben certo che se voi foste qui, a Villa Della Staffa, le giornate scorrerebbero in perfetta armonia e letizia.
Beh, effettivamente il La Rocca le trascorre quasi tutte in Letizia. Sì, Letizia Connorotto, figlia del panettiere. Era lei che portava le pagnotte alla magione del conte Raffaello. Bastò una languida occhiata del Siffredo, e i giochi furon fatti. Il fornaio fa buon viso a cattivo giuoco, e si è ormai rassegnato a una figlia che non troverà marito tanto facilmente, ma il buon Conte, anima buona, ha compreso la situazione e ha promesso all'eventuale pretendente della Connorotto una robusta dote: una fornitura di dieci anni di vino Barolo. Qualcuno dice che bisogna bere per dimenticare. Io son dell'opinione che, se i dispiaceri vanno, le corna si piantano ben solide in testa; soprattutto se passa il Siffredo. Come lui ama dire spesso: «il tubero rimorchia». Una frase ben misteriosa, nevvero? In ogni caso, Villa Della Staffa va affollandosi di giorno in giorno. E' in questi giorni arrivato da Brescia un amico di vecchia data, Pierpaolo BettonBettonBettoni, che per semplicità d'ora in poi nominerò BBB. Conobbi costui presso la mia terra natia, mentre era di passaggio per andare a San Pietroburgo per affinare la sua conoscenza della lingua russa. Trattasi di un erudito con infinite miglia percorse nella vita. Ricorda sempre con molta nostalgia i tempi passati nella Martinica, isola da cui proviene la moglie del Bonaparte. Lì ha studiato medicina ed erboristeria con un creolo, tale Robert Du Marley. Pensate che ha la bizzarra convinzione che fumare possa essere terapeutico. Non fuma egli tabacco come si usa far qui: egli mescola insieme a del comune tabacco trinciato fine una sua strana erba, a suo dire medicamentosa, e arrotola tutto in un pezzettino di carta. Si apparta a fumare, come se si trattasse di un adempimento religioso, dopodiché torna tra noi come un beato tra i mortali. Mah, è un po' strano, però oggigiorno non mi stupisco più di nulla. E' comunque dimostrato che, quando non fuma quelle strane misture, è un chirurgo a tutta prova, in grado di rimuovere pallottole e suturare ferite. Mi ha detto di aver servito l'esercito francese in oltremare, quando ancora Luigi XVI sedeva sul trono. La Rivoluzione ha messo tutto a
soqquadro, ma i contraccolpi non si sono sentiti poi molto nelle lontane isole. Questo gli ha concesso di continuare ad affinare la sua tecnica e la sua perizia. Non c'è febbre che non sappia curare, invero dovete credermi! Il buon BBB mi ha portato da Brescia alcuni spartiti per ottavino che da tanto attendevo. Come voi ricorderete, un mio grande amore è la musica, e non sono mai sazio di nuove melodie dei miei beniamini. Per citarvene alcuni, posso nominarvi gli ormai arcinoti «Plumbei Montgolfier», oppure ancora gli «Usci», quartetto capitanato dal carismatico Giacomo Di Maurizio, che canta madrigali impreziositi dai virtuosismi dell'organista Raimondo Manzarecchi. O il grande musicista solista Roberto Uomocamere, autore di grandissimi mottetti con tematiche assai attuali. E potrei dilungarmi, ricordando i «Rievocazione della Credenza Acquachiara», le «Aquile», i «Livore verso il marchingegno» o i ben più aggressivi «Vergine di ferro». Pensate, questi ultimi si azzardano a fare persino delle esecuzioni in due quarti!!! Inoltre, essendo a conoscenza della vostra passione per le nuove tecnologie, sono certo che conoscerete «Le pile di Volta», guidati dal mai abbastanza lodato Augusto Iovine, che raggiunge l'eccellenza con la chitarra. Utilizza un modello fatto costruire appositamente dal liutaio Gibbosi, e ha chiamato tale strumento «Belzebù». Beh, ma ora basta tediarvi con tutte queste fregnacce, come si dice in quel di Roma. Portate i miei saluti a tutti i vostri cari, e un paio di sonori ceffoni al Tagliamano. Non so perché, ma di certo li avrà meritati.
Il dottor Robert Du Marley

Vostro
Vytis Rakauskas

P.S.: sapete, qui in paese gira un simpatico aforisma riguardo al vostro
temibile prigioniero: «Se il Tagliamano mira al tuo petto/sta' pur tranquillo,
morrai nel tuo letto»