Napoli, 7 Luglio 1801


Beneamato Vytis
Vi scrivo dal mio studiolo nella Capitale del Reame. Leggere le vostre facezie mi mette sempre di ottimo umore.
Non nego che stento a credere ai miei occhi quando mi tratteggi delle personalità così notevoli, le quali portano al giusto rango di nobiltà le Nostre Persone attraverso strumenti così inusuali.
Ma di oggetti inusuali ne abbiamo pieno ogni luogo qui a Napoli.

Giusto ier l'altro mi stavo concedendo una breve passeggiata distensiva quando notai un cantiere nelle vicinanze di Pazza di San Domenico. Stavano terminando delle piccole restaurazioni nella cappella dei Di Sangro. Mi avvicinai e scorsi all'interno le spettacolari macchine anantomiche che hanno ricoperto di fama così oscura il principe di San Severo. Per fortuna la furia della Repubblica non si è avventata contro questo monumento: avremmo perso cotanta conoscenza e mistero.
Bando ai fatti di sollazzo, con la presente vi devo rendere noto sui fatti che mi accaddero in seguito alla visita del Cardinale De Biberia.  Il giorno successivo l'invio della missiva a Voi destinata mi mossi per la Capitale, risoluto a chiedere ragioni su un gesto sì vile qual fu quello del Cardinale. Chiesi cortesemente di essere ricevuto nel palazzo della Curia; Ero sicuro che fosse lì; le pareti rimbombavano una tra le più amate romanze del Cardinale: "Bimbo mio". Una tra le peggiori prestazioni canore che io abbia mai sentito!
Ad un tratto si volse la povera perpetua e mi avvertì che il Cardinale sarebbe stato molto impegnato per quel pomeriggio, ma che avrei potuto aspettare se non avessi avuto fretta.
Forse fu la calura, forse furono quei versi storpiati senza ritegno; ma non me la sentivo di attendere i porci comodi del porporato, e così apersi la porta dello studio con una certa veemenza scostando la povera donna. Il De Biberia cantava in piedi in mezzo alla stanza lanciando uno dei suoi più striduli acuti, ma la mia vista gli ricacciò la voce in gola. Evidentemente la mia persona lo lasciò di sale credendo di vedere il Tagliamano al mio posto. Il suo desco strabordava di carte, ma mi colpì una con una lettera con l'intestazione a caratteri dorati recante la sigla S(anta) I(nquisitoria) A(lleanza) E(cclesiastica): i temibili servizi segreti papali!
Come ti scrissi fui cordiale, ma fermo, quando chiesi le ragioni dell'assalto alla mia dimora.
Egli mi rispose con cacofonica risata, mi squadrò da capo a piedi, e mi disse:
-La vostra genìa di senzadio deve terminare, non cercate di abbindolarmi. so che fate nell'oscuro dei vostri antri! e io lo impedirò!-
In principio non capii il significato di quelle parole, infatti lasciai parlare il marrano di esperimenti e di riti oscuri. Al termine della sua predica però mi feci un'idea abbastanza chiara: la rivoluzione aveva portato con se una pletora di ammazzapreti ed ora che era stato restaurato l'antico potere ecclesiastico  toccava alle vittime lavare l'onta subita, magari togliendo di mezzo anche qualche persona scomoda...
D'un tratto avvenne l'impensabile, il cardinale mi si avventò contro gettandomi le mani al collo, oh Vytis! non ti nego che temetti per la mia stessa vita anche perchè da una porta segreta alle mie spalle si affacciò quello che poi scoprii essere il fratello: Ludovico Cristi.
Il maledetto caricò a testa bassa e io feci appena in tempo a vederlo ed ad abbassare il capo.
Non ci crederai ma riuscirono a colpirsi violentemente e vicendevolmente il cranio svenendo entrambi sul posto. D'un lampo raccolsi la lettera dorata e uscii di corsa, ma non prima di aver versato un potente lassativo nella brocca del Cardinale.
Ritornai nelle mie tenute, parlai con mio padre, il buon Conte Vincenzo Cristoforo Ranieri che di malavolgia mi consigliò un viaggio con il Tagliamano in direzione di Roma dove il suo vecchio amico Marchese Valentino de Mattei avrebbe potuto ospitarmi.
Ora mi trovo a far tappa al mio studiolo, come ti scrivevo poc'anzi con la pessima compagnia del Tagliamano e la poco piacevole lettura del Cardinale.
Saprò indicarti qualcosa di più serio dalla città dei Papi.

A presto Amico mio, non senza timori.

Massimo Ausonio