Bagnolo, 12 luglio 1801

Caro Ausonio,
le vostre parole, non lo nascondo, mi hanno fatto sobbalzare sulla sedia mentre qui, presso Villa Della Staffa, cerco ristoro dalla calura estiva all'ombra dei vecchi loggiati che circondano il perimetro del cortile interno. Mentirei, se dovessi dirvi di non riuscire a capacitarmi di come un ecclesiastico possa commettere cotali malefatte.

Del resto, come giustamente osservate, il vento di rivoluzione ha sconquassato un po' dappertutto il vecchio status quo e ora, ringalluzziti dalle folate di restaurazione, numerosi pretacci non perdono occasione per mettere i bastoni tra le ruote a coloro che hanno cercato, per puro buon senso, di raccogliere ciò che di buono la rivoluzione stessa aveva lasciato dietro di sé. Non solamente sangue, ma anche non poche conquiste per l'umano genere! Ma si sa, anche l'ignoranza può essere una solida base per le fondamenta di un impero. Vi prego di edurmi sugli ulteriori sviluppi che la vicenda avrà e che si preannunciano senz'altro ricchi di interessanti risvolti! Per quanto mi concerne, vi comunico che pure da queste parti ci sono alcune novità: alla nostra lieta brigata si è unito un nuovo e alquanto singolare soggetto. Trattasi in effetti di un abruzzese, di umili origini ma gentiluomo per educazione. Mi narrò di aver studiato presso non ricordo qual seminario, ma di esservene stato cacciato per averle malamente suonate ad un prevosto un po' troppo interessato alla sua persona. Lo conobbi in circostanze piuttosto insolite, giusto il giorno dopo avervi scritto la mia ultima lettera. Eravamo dunque a Villa Della Staffa io e il caro conte, discettando amabilmente degli ultimi avvenimenti europei, quand'ecco s'udì bussare al portone. Un domestico fece strada a questo personaggio, che si era introdotto come rappresentante. Il conte, fregandosi le mani felice, lo fece accomodare al nostro stesso tavolo e gli domandò quali vini mai egli si degnasse di esportare nelle sue terre, e qui accadde il fatto increscioso: l'uomo spiegò con cortesia di non essere un rappresentante di vini, bensì di libri. E, devo confessare, di libri di un tipo piuttosto particolare. Come anche voi sapete, la rivoluzione dei francesi ha dato un notevole impulso alla stampa nei paesi cattolici, portando la produzione a livelli sicuramente non paragonabili a quelli dell'Europa protestante, ma senza dubbio molto maggiori rispetto a una manciata di lustri or sono. E con la quantità, anche la qualità ha preso a farsi variegata. E in effetti, il nostro buon amico viaggiava in nome e per conto di un nuovo editore che, dato l'argomento trattato dai suoi libri, preferisce utilizzare uno pseudonimo. Non si sa dove esattamente egli stampi (ma credo Venezia, autentica capitale del libro stampato, se non addirittura Brescia). In parole povere, vi ho tenuto sulle spine anche troppo: per una cifra piuttosto modica, il nostro interlocutore offriva in vendita le opere complete del marchese De Sade, un autore francese che definire licenzioso è assai più che riduttivo, tradotte e stampate ad opera dell'editore «Tubo scarlatto». Nome curioso, nevvero? Il conte si alzò di scatto coprendo di improperi il malcapitato, minacciando di confezionargli un grazioso cappottino di nerbate su misura, se solo non fossi intervenuto io in sua difesa. Che male aveva mai fatto? Il conte lo spiegò in breve: l'abruzzese era colpevole di avergli fatto perder tempo, lui aveva ben altro a cui dedicare il proprio patrimonio. In fondo possedeva una cantina, non certo una biblioteca. Mi detersi il sudor freddo dalla fronte, pensando per un momento che il conte potesse essere un baciapile. In segno di gratitudine per avergli evitato una, l'omarino mi fece dono di un libro della collana, e dietro mia richiesta il conte accettò che si trattenesse con noi per la cena, dato che un viandante ha sempre qualcosa da raccontare; figuriamoci poi se svolge un'attività del genere! In breve, il nostro ospite ci raccontò della sventura che lo perseguita: vi lascio immaginare gli occhioni del conte Raffaello gonfi come otri, mentre ascoltava le peripezie del meschinello tracannando bottiglie e bottiglie di vino di Marsala. Oh, che animo divino, oh, quanto spirito scorre nelle sue vene! Un nefasto destino pare proprio perseguitare il piazzista di libri. Un fato avverso e rio vuole che egli sia perennemente inseguito da mariti, padri, fratelli, fidanzati, e addirittura figli di donne di ogni ceto ed età. Siffredo La Rocca, questo è il suo nome, non riesce proprio a resistere all'imperativo comandamento interiore di far breccia nelle muliebri virtù, e non solo in senso figurato, se ben mi capite... Immagino di già il vostro ghigno più ilare e giocondo, caro Ausonio! Il tapino deve pure viaggiare sotto falso nome nelle terre pontificie, giacché sulla sua testa pende una taglia per sodomia. Praticata ad una consenziente locandiera, per intenderci. La locandiera, dicevo, era consenziente, ma non altrettanto poté dirsi del di lei padre, che dopo aver origliato alla porta del La Rocca preoccupato dai latrati emessi dalla signorina, si precipitò nella camera urlando: «Misericordia!». Come ci ha poi illustrato il nostro commensale, le donne apprezzano assai le sue qualità amatorie, e ancora oggi la sua fiamma mai sopita lo conduce alla conquista di femmine, intonse o ruderi che siano. Il conte ha infine deciso di trattenere il buon Siffredo presso di noi per la notte (è scapolo, sapete), a patto che si unisca a lui nei prossimi giorni per una certa missione di cui non ha voluto specificare i dettagli. Non appena saprò qualcosa di più ve ne renderò cronaca.
Attendo con ansia una vostra lettera
Vytis Rakauskas