Bagnolo, 27 luglio 1801

Ausonio carissimo,

quante cose ancora su questo nostro globo terracqueo io ho ancora da vedere prima che i miei occhi possano dirsi abbastanza sazi da concedersi il riposo eterno? Questa potrebbe parervi una peregrina riflessione cimiteriale che tanto va di moda tra gli scrittori moderni, ma non è così, tutt'altro: essa è per certo la declamazione della mia volontà di vivere fino a mill'anni, se possibile, in virtù del fatto che ogni santo giorno mi tocca vedere qualche cosa di nuovo e invero quasi incredibile!
E in effetti, vi starete già chiedendo dove voglio andare a parare... E' presto detto. Ricordate, nella mia ultima missiva, accennai a certi affari che il conte della Staffa avea da sbrigare, per i quali necessitava dell'aiuto del La Rocca? Ebbene, tutto quanto mi si è infine palesato. La penna verga tremule lettere sulla carta, alla fioca luce di una candela, mentre vado a rimembrare i terribili progetti di quel bel tomo del conte!
Ebbene, l'indomani della mia precedente lettera, di buon mattino, il conte prese dalle stalle un calesse e portò con sé il nostro buon Siffredo, pregandomi di attendere il loro ritorno prima del tramonto. Mi pare un attimo
fa, il momento in cui li vidi partire per la strada, con la garrula vocina del piazzista di libri licenziosi che intonava la sua amata romanza «Arpionata Nell'Augel Leggiadro», canzonetta che cela un acrostico tanto caro al La Rocca... Che faccia parte di qualche società segreta? Ebbene, la tramonto erano di ritorno, entrambi assai soddisfatti. Alla tavola apparecchiata per una parca cena a base di pane, formaggio, vino, vino, vino, vino, vino, vino e vino, il conte raccontò come avevano passato la giornata: erano semplicemente andati al vicino paese di Capriano, per acquistare un pessimo vinaccio di cui il conte è straordinariamente ghiotto, il clinto. Egli ne beve in quantità pazzesche, e ho inoltre scoperto che il suo fiasco metallico è cavo all'interno, sia pure assai poco, ma quanto basti per contenere qualche sorso di quella roba che il conte si ostina a chiamar vino. Si dà comunque il caso che tale beveraggio venga prodotto solo nel succitato paesello, posto su una modesta collina non lontana da dove noi ci troviamo. Ma perché portare il La Rocca, vi chiederete? La risposta è semplice: il buon conte ama bere, ma nonostante le pingui rendite delle sue terre, non riesce a pagare tutto il succo d'uva che si beve. Ha perciò deciso di approfittare del nostro libraio come diversivo. Mentre, giunto alla cantina, contrattava il prezzo della merce, il Siffredo si introduceva silenzioso nella casa del vinaio (e probabilmente – e affatto silenziosamente –nella moglie del vinaio stesso). Che ci si può fare? Al Siffredo certe cose piacciono rumorose. Il cantiniere, attirato dalle urla di piacere della moglie,
non effettuate in sua presenza, ebbe a risentirsi in primis d'esser diventato cornuto, e inoltre di non aver mai fatto produrre tali rumori alla sua gentil consorte. Una volta entrato in cucina, la trovò riversa sul tavolo, in un bagno di sudore, con gli occhi languidi di piacere, e si sentì soltanto dire:«giammai più con te, miserando membrucolomunito!» Una finestra aperta era sufficiente a terminare il discorso. Inutile dirti che, mentre i due
litigavano, giacché nessun uomo può accettare critiche da talamo dalla propria consorte, il conte aveva caricato all'inverosimile di clinto il suo mezzo di trasporto, e se l'era data a gambe. Altrettanto superfluo è dire che il vinaio non trovò nulla da ridire su tale contegno e tacque senza voler danari. Del resto, il silenzio del conte lo salvava da un'imbarazzante situazione. Perciò, il conte fu felice di poter riempire la coppa, il La Rocca fu felice di aver empito ben altra coppa, e io mi trovo qui a sentire il racconto di questa
avventura ad libitum. Del, resto, Ausonio, che vi devo dire... Son giuovincelli...
Ora devo andare. Sta per giungere a Villa Della Staffa un comune amico, forse anche voi ve ne ricorderete, dovreste averlo conosciuto di sfuggita in una vostra permanenza in queste zone... Paolo Monaci di Tibet. Ve ne rammentate? Un caro saluto alla vostra amica e a voi i miei più sentiti ossequi

Vytis Rakauskas