Tenute D'Oltresele 15 Novembre 1801

Mio caro Vytis

Le traversie di casa Ranieri sono senza fine! Non comprendo se ci sia un disegno divino che ci voglia mettere alla prova o è solo la cupidigia degli uomini che ci sottopone ostacoli.


Le azioni da cui vi rendo conto prendono spunto dalla visita di mia sorella Rubinia. Dopo la bella giornata che trascorremmo nella villa paterna Rubina volle presenziare, il giorno successivo,  ad una gara di calessi denominata “Prima Formulazione” che si svolge nel vicino paese di Capaccio, erede della vecchia Pesto.
Questa è un’attrazione che richiama veramente moltissimi spettatori, si ripropone mettendo contro delle compagini molto agguerrite tra loro. Pensate che alcune di queste, per accaparrarsi la vittoria pagano carrettieri stranieri.
Oramai il gran Maestro Michele Calzolaio, dopo un passato di vittorie non vuol saperne di ritirarsi e spesso viene fatto oggetto di dileggio.
Pensate che tra i favoriti alla vittoria ci sono due condottieri esteri, uno spagnolo, Alfredo de Lonzo, che corre con un calesse costruito sugli Appennini tra il Regno di Milano, quello della Serenissima e i ducati, e un prussiano, Sebastiano Vettello, che guida un calesse denominato Toro Scarlatto.
La gara fu bella ed entusiasmante e il giorno successivo ci movemmo per ritornare alla dimora presso i possedimenti della casata Depposo.
Dovete sapere che la villa di campagna si trova in verità a poche ore di cavallo dai possedimenti d’Oltresele dei Ranieri.
La mia propensione era quella di scortare Rubinia e declarare la posizione del Cardinale nei confronti della nostra casata all’imbelle Giovanni Depposo.
Partii, nonstante la foschia novembrina, scortato da mio fratello, dalla cara Diana, e da un paio dei nostri uomini, Enrico e Giuseppe; giusto per evitare pessime sorprese ci bardammo come quando si va a caccia.
Devo confessarvi uno strano sentimento di stupore nel vedere come mia sorella si pose al cavallo: non come una dama del suo rango, ma quasi come uno dei briganti che sempre più spesso popolano i boschi dell’Oltresele. Non vi nascondo che pessime idee passarono veloci nella mente: come poteva una donna così bene educata condurre un cavallo in quel modo? E come poteva conoscere gli stretti contatti tra il Cardinale e i briganti eredi di Angiolillo? Era come se avesse un orecchio nei rifugi delle montagne e un altro negli studi del Cardinale! Il viaggio fu breve, ma non privo di sventure. Nei boschi di confine prima di accedere alle tenute Depposo, notammo di essere seguiti e Cesare, irruente di natura, si prese Giuseppe con sè e andò a prendere alle spalle lo spione.
Dividerci fu l’errore fatale: dopo pochi minuti si avventarono su di noi quattro uomini a cavallo. Confesso, caro amico, che pensai a quello come al mio ultimo giorno di vita terrena. Sguainai la spada, tenni la pistola a portata di mano e sollevai il braccio pronto ad usare la mia balestra.
Come consuetudine gli assalitori dimenticarono le donne della compagnia avventandosi solo sui cavalieri. Lasciai partire un paio di dardi che ferirono gli uomini indirizzati verso Enrico e puntai il mio
braccio verso i miei assalitori, ma, con mio sommo stupore uno di loro era già stato disarcionato, mentre l’altro si difendeva malamente dalle precise stoccate di Rubinia. Uno spettacolo di una rarità così
speciale da considerarsi unica. Una donna che sconfigge un uomo nella scherma! Roba da sovvertire l’ordine naturale delle cose!
Le grida fecero accorrere Cesare che ormai ci raggiunse a cose fatte. I nostri assalitori si erano dileguati.
Il resto del viaggio continuò senza scossoni, ma giunto a villa Depposo mi accorsi che la mia balestra aveva subito danni e necessitava urgenti manutenzioni. Fortunatamente nella villa il mio caro cognato non era presente, Rubinia fece gli onori di casa permettendo di rifocillarci e prepararci visto che saremmo rimasti lì per la notte.
Inoltre mi indirizzò verso Marcantonio Valiano, per riparare la balestra. Vi dico che riuscì nell’intento in maniera rapida e senza intoppi e passammo gran parte della serata a discutere di piccoli arnesi e strumenti finissimi.
Mi raccontò, in confidenza, di essere stato il garzone di bottega di Filippo Pateco, un grandissimo costruttore di strumenti come orologi, automi e altri oggetti di rara bellezza; mi confidò poi di non sentirsi adatto al ruolo, simile al fabbro, che stava ricoprendo in casa Depposo così gli proposi di venire poco distante, a prestar
servigi a villa Ranieri, in modo da coadiuvarmi negli studi degli arnesi che tanto ammiro nel veder azionarsi. E così il giorno successivo sellammo i destrieri per tornare in Oltresele.
Ora vi saluto caro amico. Mi aspettano ore di studi con Marcantonio alla ricerca di arnesi per essere più efficace in battaglia, così potrò mettere finalmente il termine alle scorribande del De Biberia.
Quanto alla vostra ultima missiva, devo riconoscere in voi una cieca adesione alla causa dei Francesi, seppure per ottime ragioni, ma permettermi l’ardire di consigliarvi di non dar loro troppa confidenza. Qui noi la rivoluzione l’abbiamo vissuta e persino un intellettuale esimio come Vincenzo Cuoco mise alla gogna l’agire di quegli uomini che, senza realtà, cercarono di replicare gli avvenimenti della bastiglia convinti che basti dir “rivoluzione” per esserne tutti convinti!

State all’erta siate prudente nelle vostre irruzioni e adornate la schiena del Pipistrone con qualche sana randellata anche da parte mia!

Sempre Vostro